Saturday, July 29, 2006

Racconto



Il giorno in cui è nata hanno spezzato le ossa a un uomo che aveva assassinato un'infanzia. Così è venuta al mondo con uno strepitio di legna bianca: il ginocchio a fare il suo dovere di fulcro, le mani a tendere fino a superare il limite. La rottura definitiva. L'uomo che aveva assassinato un'infanzia è rimasto a terra una notte e buona parte della giornata successiva. Sette minuti dopo la mezza si è alzato massaggiandosi la mascella i denti grumosi le ginocchia tremolanti e si è avviato verso casa. Dove la trovi la voglia di vivere ancora gli hanno chiesto prima di schiantarlo contro una recinzione. Dove la trovi, bastardo? Prima di morire ha detto solo grazie. Sorrideva. Il paese intanto lasciava le parole a scolorire col bucato gocciolante appeso. L'indomani sarebbe arrivata la domenica. Durante le cene in nessuna delle case venne interrotto lo scalpiccio delle posate. I mariti e padri si versarono un bicchiere di vino in più. Segno che il sonno avrebbe tardato. Pur non mancando all'appuntamento coi giusti. Dove la trovi, bastardo?
Padre perdona loro perché non sanno quello che. La messa terminò con la gente a sparpagliarsi via dal sagrato come carte distribuite nell'ultima mano veloce. Non una parola durante l'omelia. Tre posti vuoti sui banchi smussati dalle invocazioni della Grande Guerra. Il sole schiantato sui muri per un attimo fece dimenticare a tutti di aver posato mattoni su mattoni. Un paese venuto su da una volontà indistinta. Ci si sveglia perché è giorno. Si lavora perché i calli sulle mani si indossano come camicie e pantaloni.
C'era una vita nuova da battezzare. E un nome da dimenticare. Piantato ossessivamente nelle teste di tutti. La paura era che venisse alle labbra al momento di promettere un figlio a Dio. Utilizzare quello dell'infanzia assassinata era fuori discussione: di guai ne aveva già portati troppi.
Qualcuno propose di lasciar fare al tempo. Ché a volte i nomi saltan fuori per consuetudini, balbettamenti che si stratificano fino a formare lo spessore di un'abitudine. Però quella era una vita e non una cosa -benché viva- e c'era bisogno di un suono da associare ai rimproveri, ai primi richiami dalla finestra lanciati giù nello sputo di una via stretta lontano dal sole dove ogni bel gioco che si rispetti dura poco. Questo bisognava poterlo insegnare. Prima lo capisce meglio è. E poi come si fa col battesimo? Con l'anima da raccomandare? Con l'appello da sciorinare? Presente o assente inguistificata dovrà potersi alzare in piedi e rispondere. Decisero le donne, con un rapido conciliabolo risolutissimo attorno al tombolo sul tavolo della più anziana. Decisero per Lucia: ché avesse gli occhi aperti, non incappasse mai in quelli che assassinano le infanzie e, più in generale, in tenebre e tentazioni. Sinonimi da Nuovo Testamento altrettanto intagliati nei crocefissi della saggezza popolare.
Lucia, però, in barba a simili propositi, cresceva con gli occhi chiari e una predilezione per ogni anfratto, ogni angolo in cui la luce rendeva difficile distinguere i contorni delle cose. All'inizio furono panico e ceffoni. Dopo un po', l'ostinazione ebbe la meglio e divenne un fatto normale vedere le ante dei mobili più bassi aprirsi come sbloccate da una forza invisibile e il viso di Lucia e i suoi occhi chiari fare capolino con un sorriso. Nessuno sobbalzò più nello svoltolare lenzuola o coperte e trovare Lucia intenta a disegnare morbidi tunnel con la precisione di una speleologa. Era ancora piccola per riuscire a scavare ma, tutti ne erano certi, a breve avrebbe attaccato la terra grassa e umida dell'orto di famiglia. Almeno si sarebbero liberati di parassiti e talpe.
Due mesi dopo aver compiuto nove anni, Lucia sgambettava precisa in direzione del forno. Nel pugno destro, sudaticcio, i soldi contati per mezzo filone di pane. Non bruciacchiato. L'ingresso del negozio, progressivamente più vicino, annunciato dall'odore fragrante e confortevole. Poi di corsa a casa, poi di nuovo a giocare. In programma una spedizione verso un mattone che dicevano potesse essere rimosso da uno dei muri esterni dell'edificio del Comune. Ci nascondono qualcosa. Sicuro. Monete? Documenti. Segreti, comunque. Due mesi dopo aver compiuto nove anni Lucia sgambettava precisa puntellando i passi ad un ritmo sincronizzato ai suoi pensieri. Oltrepassando l'arco del Vicolo della Carità resistette alla tentazione per la quale era stata sgridata molte volte. Tira dritto: prima torni a casa, prima scopri cosa c'è dietro quel mattone. Mezzo. Filone. Non. Bruciacchiato. Pizza. No. Mezzo. Filone. Pizza. Rossa. No. Ho. Detto. No. Mezzo. Filone. Non. Crostata. No. Filone. Mezzo. Non. Bruciacchiato.
Dallo stesso arco ormai superato abbondantemente, sbucò il Vispo. Ragazzino il cui nome era scivolato via nel tempo, sepolto dalla sua stessa fama di esagitato iperattivo. Muto come un pesce, il Vispo aveva la strana abitudine di anticipare intenzioni e desideri altrui con gesti piccoli -date anche le poche primavere compiute- e sbrigativi. Efficaci, comunque. Il giorno in cui deciderà di parlare non lo zittiremo più -pronosticavano genitori e parenti. Il Vispo intanto taceva. Fissava, ragionava, anticipava. Raggiunse Lucia prima che aprisse la porta del forno. Lei lo aveva visto solo un paio di volte. Il Vispo, condannato dal mutismo e dalla spiccata attitudine alla sua strana forma di veggenza, non giocava spesso con i coetanei. E del resto sarebbe stato difficile, non rispettando i turni imposti da quasi tutti i giochi conosciuti. Ciao, disse Lucia. Il Vispo era già dentro. Lei si trascinò al bancone cercando di fissare il sorriso di Angela, la panettiera. Era fondamentale non distrarsi. Pizza. Rossa. Niente. No. Un fil...MEZZO filone di pizza non rossa...no...un mezzo pane. Filone. Pizza. No. Crostata. No. Mezzofilonedipanenonbruciacchiatoperfavore. Uff. Angela sorrise e divise la pagnotta in due. La imbustò e la depositò tra le mani sudaticce di Lucia. Le stesse mani che poggiarono i soldi contati sul ripiano davanti al registratore di cassa. Arrivederci. Pizza. Rossa. NO. Uff. Quindici secondi e sei o sette passi più in là, il Vispo brandiva una succulentissima striscia coperta di pomodoro. Vuoi? Lucia strinse più forte il pane tra le mani, pane che esalò una zaffata penetrante di croccante lievitazione. Lo stupore, va' da sé, era per il suono emerso dalla bocca del Vispo come un oggetto costretto sotto l'acqua e poi liberato, piuttosto che per l'offerta di quel trancio di pizza. Il Vispo annuì. Lucia anche. Il primo morso non aveva ancora intaccato del tutto la pizza rossa che nel suo stomaco cominciarono a frullare farfalle in senso orario, ordinatamente armonico con pianeti, orologi e tutte le cose complicate e bellissime del mondo. Avesse avuto qualche anno di più sarebbe stata capace di dare un nome a quella sensazione. Si limito a sorridere e, con la bocca piena, rispondere: grazie. Per una volta, il Vispo era in -lieve, splendido- ritardo.

Friday, July 28, 2006

Mesi



È difficile. Questo è tutto quello che so.
È passato quasi un anno.
Non scrivo più da mesi.
Oggi ho comprato un mixer e, in fondo, è lo strumento che vorrei poter applicare a quello che vivo. Qualcosa che riporti i livelli al giusto equilibrio. Che alzi il volume di quello che ormai sussurra, che abbassi il tono di quello che dovrebbe scemare.
Mesi.
Mesi durante i quali ho imparato a resistere. Chiudere tutto e resistere. Al dolore, alla mancanza di rispetto. A quello che ho perso e che, contemporaneamente, non ho mai perso. Ho scoperto di essere in grado di faticare. Davvero. Di saper cercare. Guardare quello che trovavo e continuare. Ho scoperto che mi spavento poco. Che non sono capace di tutto. Si chiamano limiti. O forse confini.
Mesi.
Mesi in cui ho imparato a vivere di risorse. A sorridere di sorrisi che partono dal profondo. A guardare con chiarezza le persone. Scegliere, scegliere e poi ancora scegliere. Scegliere anche quando non sembra esserci più nulla da preferire. Nulla che si possa chiamare 'desiderio'. E poi scoprirlo ancora e ancora sentirlo accartocciarsi. Come l'ennesimo foglio su cui non scrivi nulla. Come l'ennesima frase che non potrai dire. Che dovrai tenere per te.
Mesi.
Mesi in cui apri le mani e le scopri pronte. Pronte e vuote.
Mesi.
Mesi di congetture e speranze. Convinzioni che si gonfiano e si spaccano come il legno quando il caldo e il freddo si alternano. Sconfitte enormi. Vittorie che stanno tutte in una tasca. Tanti, tantissimi passi. E, per la prima volta nella mia vita, camminare e non capire niente. Non riuscire a capire niente.
Mesi.
Mesi impacchettati. Chiusi nella carta da lettere. Email, foto, la testa pesante. Nessuna mattina diversa dall'altra. I corvi in giardino. Bologna col sole. Gli amici che non sanno. Mio nonno che muore. Tenere tutto lontano da tutto. Salvarmi e salvarti. Tutto al riparo. Neanche una doccia finita senza un pianto.
Mesi.
Mesi con un telefono davanti. Nella tasca dei pantaloni. Aspettare e scoprire che l'attesa non serve a nulla. Agire. Il coraggio. Scusarsi. Rimediare. Nessuna possibilità di farlo. Nessuna. Chiedersi se si è in grado. Mettersi alla prova. Milioni di bicchieri d'acqua. Come stai? Non rispondere non pensarci non darsi il tempo di rispondere. Perché? Perché è una domanda come un'altra. Basterebbe un attimo. Anche ora? Non lo so. Lo so benissimo.
Mesi.
Cos'è che non ho fatto? Cosa avrei potuto fare? Quando ho deciso che era abbastanza? Chi c'è? Cosa credi di aver capito? Nulla.
Mesi.
Tutti i venerdì. Non parlo di mia madre. Parliamo di mia madre. Sentire uno scricchiolio costante. Sono io? No: sei tu. Crepe. I colori che emergono di nuovo uno alla volta. Come in una gigantesca camera di sviluppo. Ho delle braccia. Le mani sono sempre quelle. Pronte e vuote. Trentotto chilometri al giorno. Ho ancora un corpo. Non ci disegno strade. Non lascio che ne disegnino. Milioni di bicchieri d'acqua. Pronto, buongiorno mi dica. Vite. Io sono ancora una persona gentile. So come si fa luce. So innamorare. So ancora innamorarmi? Milioni di bicchieri. C'è ancora musica.
Mesi.
È quasi un anno. Sono altrove. Un anno al di là. Tre passi. Uno, due, tre. Mi giro e non capisco ancora del tutto. Mi giro e ancora ti trovo. Le mani ancora pronte e vuote. Continuo.