Monday, September 25, 2006

Is This Now


Forse ricordi. Io ero lì che costruivo areoplani di carta e li poggiavo in formazione sull'erba. Credevo che mi sarei preoccupato solo di fare il mio stupido dovere, il mio sciocco compito di far del bene al mondo e che avrei lasciato la malizia a quelli che avevano voglia di perdersi il piacere di un 'grazie'. Io ero lì che sfruculiavo le scalanature indisponenti tra le linee di velluto dei miei pantaloni. Credevo che non avrei mai più avuto il coraggio di imbracciare la chitarra e imitare una voce buffa solo per veder sorridere qualcuno. Non mi piaceva quello che avevo attorno eppure facevo di tutto per compiacerlo. Perché le mie aspettative erano ingarbugliate in un senso di nostalgia lontana, di quelli che tappano le orecchie con un fischio lungo che attraversa longitudinalmente la testa da un emisfero all'altro. Ingarbugliato -sai- è proprio la parola giusta. Col dolore spillato sotto la punta di ogni dito. E a Roma erano giorni che non faceva altro che piovere. Forse ricordi. Siepi e silenzi. Il mio piccolo giardino tenuto con cura stolida. Tu che ti aggiri e sbirci proprio lì dove poi avrei piantato un pezzo di legno chiaro con incise le parole: "mi dispiace". Forse ricordi. Io ero lì che facevo niente o poco altro che sollevare la coperta del letto perché tu togliessi la scatola da sotto. Quella dove nascondi la parte più preziosa e segreta di te. Finché insieme ci siamo seduti sull'erba, accanto agli aeroplani di carta in formazione e abbiamo scoperto a cosa servono gli alberi. Gli alberi servono a legarci ben strette due corde e a loro e tra loro una tavola robusta. Gli alberi servono ad appenderci le altalene.

Monday, September 18, 2006

L'albero, la luce e i sogni


Ho un albero che quasi entra nella mia stanza. Per ora seduce con promesse di fuga il mio balcone. Dialoga con la luce che lascio sempre accesa, dietro la finestra socchiusa. Non so cosa si dicano. La mattina trovo tracce di ombre sul pavimento. Segno che hanno parlato fitto tutta la notte. Per questo forse dormo poco. Per questo e perché sogno cose concrete. Sogno sogni realizzabili. Pessima abitudine reiterata. Di giorno li trovo sul pavimento. Accanto alle ombre. Suggestioni possibili. La notte credo parlino con l'albero e la luce sempre accesa. Sogno cose concrete e mi stanco mentre dormo. Mi sveglio con la sensazione di aver già fatto tanto, prima ancora che il giorno inizi. Mi sveglio con l'eco del brusio di una conversazione lunga un giro completo delle costellazioni. Chissà cosa si dicono, i miei sogni, l'albero e la luce.
Ieri notte non dormivo perché non volevo. Sono uscito in balcone e, affacciandomi evitando l'albero, ho guardato giù perché pensavo che sarebbe passata una bicicletta dall'equilibrio precario come una danza e le ho detto
"Sali che c'è posto, figurati: qui pare una riunione di famiglia ogni notte, tra luci, alberi e sogni.
E la bicicletta ha fatto girare un po' la catena a vuoto e mi ha risposto
"Scendi tu, che tanto tu dormi poco. E poi c'è una notte così bella. Così bella."


Thursday, September 07, 2006

Notturno

Il tempo acquista strati come letti a castello infiniti; duemilamilionidimiliardi di baci della buonanotte e i sogni impilati: l'ultimo piano è il penultimo del penultimo e ancora prima del soffitto e il soffitto è una notte di cui pilucchi le stelle e le mangi a bocca socchiusa, giocando a far illuminare il buio da dove escono le parole e i sorrisi. Poi inghiotti ed è un bacio a cinque punte che sfrigola e solletica le labbra come granita di neve, come briciole di colazione.

Il tempo gironzola come un'idea e si intrufola e si intromette, piede tra lo stipite e la porta e tra il dritto/rovescio di un lenzuolo di cui cerchi per minuti il verso. Il tempo lo stendi pigliandolo per i lembi e cade qualcosa a terra: è quello che stavi cercando tra le pieghe del cuscino sul tuo viso, lo guardate attoniti, tu e chi regge gli angoli opposti e complementari e il lenzuolo cade in nome della curiosità di ciò che è stato ri-trovato.

Il tempo annuisce come prua di nave che sfarfalla le onde; legata al braccio la tua rotta, stropicci le mani e spariscono le direzioni -ecco fatto. Il tempo strattona vele e sposta le isole nella notte e sistema il suo personale puzzle di coincidenze riflesse nell'acqua che sciaborda insistente.

Il tempo sistema paletti di vaniglia lungo il perimetro di quello che tu stesso gli insegni nuovamente a delimitare e ognuno si scioglie appiccicoso e dolce per cedere il posto, cedere il passo, rilasciare il sapore di un confine che cade. Cederlo arrendevole consapevole del piacere di lasciarsi vincere. Conquistare accogliendo ancora una volta.

Il tempo che arriva. Nel tempo che c'è.