Monday, October 08, 2007

Electrocute(d)




"Adesso ti faccio vedere una cosa" mi dice. "Però devi promettermi che non la farai mai e poi mai da solo. E' pericoloso".
"Se è pericoloso", le dico "è pericoloso anche per te".
"Sì, ma in due stiamo più attenti. In due, se a uno capita qualcosa, l'altro può avvertire qualcuno".
"Che cavolata", le dico.
"Sta' zitto e seguimi".
Piove tantissimo. Io non ho mai visto un'ostinazione come la sua per le pozze d'acqua. Entrare in una è divertente. La seconda regala ancora una certa euforia. Mirare alla terza è ormai una sfida ai calzini umidi. Per continuare bisogna avere proprio una fissazione particolare. Comunque. Piove tantissimo quando scendiamo dall'autobus.
"Ma i compiti non li facciamo?", le chiedo.
"Dopo. Ora promettimi che non farai mai da solo quello che sto per farti vedere".
"Prometto".
"Prometti per davvero".
"Occhei, prometto".
"Sulla testa di Carlotta".
"Carlotta mi piaceva l'anno scorso".
"Prometti sulla sua testa ché tanto se dici una bugia e le capita qualcosa mi sta antipatica".
Prometto. Siamo sul prato davanti all'ospedale di quelli che muoiono per finta. Quelli che muoiono per finta hanno delle malattie segrete che quando arriva il medico non gliele spiega neanche. Gli dice: avete una malattia che noi ci capiamo poco e niente, ma voi a un certo punto morite e quindi vi mettiamo qui che così non lo dovete spiegare a nessuno. Non siete obbligati. Come quando uno è triste e gli fanno un sacco di domande e quello dovrebbe spiegare una specie di malattia invisibile e allora si confonde e dice: "Non lo so". Sul prato c'è un cartello giallo. Basso, con scritto: "A 1m di profondità, cavi ad alta tensione". Io le urlo:
"Che vuoi fare? Guarda che saltiamo per aria. Te sei matta qua ci ammazziamo, ci friggiamo come le zanzare nelle luci blu".
"So quello che faccio", mi risponde. "Fidati: so quello che faccio. Zitto e aiutami".
Così cominciamo a scavare sotto la pioggia. Piccole buche come quando si semina. Sceglie il punto, io affondo l'indice nella terra zuppa bagnata e lei spinge dentro una cosa che non riesco a vedere. In superficie rimane solo un filo. Un filo della corrente con la gomma rossa che unisce tutte le cose che non riesco a vedere, sotterrate nel fango. Dall'altro lato del parco c'è un bar come quelli americani dei film. Quelli aperti anche di notte. Quelli in cui sembra non ci sia nessuno e invece entri e c'è sempre una persona che non avevi notato che sta lì con la testa un po' inclinata su una tazza che fuma e quando ci passi vicino per andare in bagno scopri che è vuota. Vuota e ancora bollente. La ragazza al bancone ci guarda senza fare nulla. Non avviserà nessuno. Non chiamerà la polizia né le guardie giurate: nessuno. Non farà nulla perché lavora al bar davanti l'ospedale di quelli che muoiono per finta e anche se fossimo in serio pericolo, per lei la vita ha un significato diverso. Ha un significato per finta e quindi non c'è da preoccuparsi. Quando finiamo di interrare tutto, ci sistemiamo sotto la tettoia. Lei tiene il filo elettrico nella mano e cerca un accendino nella tasca.
"Non farlo mai e poi mai da solo, occhei?".
"Sì, sì, te l'ho promesso".
"Carlotta è un cesso con lo sguardo da pesce, comunque".
"Non è vero, ma non mi piace più".
"Cretino. Guarda".
Avvicina la fiamma al filo che inizia a sfrigolare. La pioggia smette di cadere.
"Siamo fortunati. Ora osserva attentamente".
Quando il fuoco raggiunge il primo buco, c'è una piccola esplosione. Precisa e contenuta. Uno sbuffo di terra e l'erba attorno che si copre di una patina bluastra. Un crepitio che si diffonde come i cerchi nell'acqua. Man mano che i buchi esplodono, tutto il prato diventa un lago di corrente che si spande nervosa e fa tremolare la vista. Qualche residuo di mortaretto riprende a scoppiettare, c'è un suono di carta da regalo appallottolata. "E' bellissimo", riesco appena a dire. Lei sorride soddisfatta. Io penso a tutta l'alta tensione dei cavi a un metro di profondità che rispondono alle piccole detonazioni e rilasciano corrente e mi bruciano gli occhi: forse mi sta venendo la febbre, forse domani mi ammalo e non devo fare i compiti. Lei si avvicina, avvicina la bocca al mio orecchio umido e dice con la voce che ha le gocce d'acqua sulle labbra dice qualcosa e io esplodo con tutta l'elettricità al sicuro sotto la tettoia del bar dell'ospedale dove la gente muore per finta.

4 comments:

Anonymous said...

Colgo l'occasione di questo altro magnifico post per dirti che dopo mesi di silenziosa lettura ho deciso di linkarti. Perchè mi piace tantissimo come scrivi, perchè sei di roma, e perchè penso tu ascolti twee (che io amo).

Ciao!

Intweetion said...

Graziemille Nur!

[ e, sì: decisamente ascolto -anche- twee :) ]

Anonymous said...

ma quant'è bella questa cosa

Intweetion said...

Miche', diciamo che con la fonte di ispirazione che avevo, nonostante i miei mezzi, era decisamente difficile sbagliare ;)
Grazie :)